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Lasciarsi portare su territori lontani e spazi aperti, lungo highways immerse in tiepidi soli; finire per sprofondare in una calma irreale, una quiete incantata senza spazio né tempo e rimanere ipnotizzati da jingle jangle quasi ossessivi come quelli di April’s Song.
È questo l’incantesimo in cui ci sembra di cadere ad ogni ascolto di Atlas, il terzo disco dei Real Estate.
Certamente non una novità dalle parti della musica del quintetto (ai quattro membri classici si è aggiunto alle tastiere l’ex Girls Matt Kallman) del New Jersey: Martin Courtney e soci ci avevano già abituato con i precedenti Real Estate e Days ad essere catapultati in atmosfere catalettiche ma allo stesso tempo rassicuranti, e avevano fatto gridare al miracolo indie dalle pagine di Pitchfork et similia.
Forse nulla di così eclatante come vorrebbe suggerirci l’indie-bibbia dai voti decimali, ma i Real Estate posseggono un equilibrio miracoloso – questo sì – che si snoda lungo due linee perfettamente incastrate tra di loro, quella del cantato soave di Courtney e quella della chitarra ipnotica e lucida di Mondanile. Tra melodie jangle e trasognate, psychofolk e pop elegante, il disco brilla di una luce tiepida ma limpidissima, aiutato anche probabilmente dall’esser stato registrato in uno dei posti più “Americana” degli ultimi anni, quel Loft dei Wilco che ha prodotto i dischi dal suono più pulito della band di Jeff Tweedy, a partire da quello Sky Blue Sky che in qualche modo ricorda questa terza fatica dei Real Estate, se non per tutte le sonorità, quantomeno per evocarne gli stessi paesaggi e sentimenti. È la placidezza, la quiete a tenere banco: le cose sono cambiate (“This is not the same place/I used to know”) ma in un senso armonico, a scandire un tempo non più così minaccioso ma costruttivo (“I’m just trying to make some sense of this before I lose another year” ), in cui a influire sono anche le vicende personali del frontman Courtney alle prese con la paternità.
L’apertura è fra le migliori (Head To Hear) ma sullo stesso tenore ci sono anche le ottime Past Lives e The Bends (e probabilmente sono queste tre ad essere le più significative anche a livello di testi) ma sono episodi come la “hit” Talking Bacwards e soprattutto la strumentale April’s Song a rimanere maggiormente impressi per intensità e composizione. Non sarà memorabile, questo Atlas, ma è semplicemente un disco di raffinate melodie pop dai suoni pieni di luce: una qualità da non sottovalutare, specie in Aprile.

VOTO: 7.4
CANZONE: Talking Backwards
TAG: Psych-folk raffinato, jingle-jangle